lunedì 30 aprile 2012

"Hunger"..of Cinema - Non è la solita storia di critici che si auto-compiacciono.

*Una scena tratta da Hunger di S. McQueen (2008)
Perchè non è tutta colpa del pubblico, dei registi e dei critici più terra terra.

Bisogna partire dalle caste.

E sradicarle.



Amo imparare. E amo, soprattutto, imparare a confrontarmi. Sto seguendo con interesse il dibattito sollevato da quel buon "vecchio" dizionario di cinema, noto anche come Paolo Mereghetti, che con un suo intervento sul Corriere di ieri intitolato Nuovo Cinema Populista ha mosso un paio di coscienze. E Mereghetti non la manda a raccontare, siamo sinceri: la sua è una riflessione molto dura sul ruolo socio-culturale svolto dai critici cinematografici italiani, intellettuali che hanno perso un po' la bussola inseguendo logiche prettamente commerciali e che, senza mezzi termini, si sono un po' rammolliti. Un tempo c'era chi si incazzava nei confronti di certi abbruttimenti culturali, alzava la voce, buttava giù frasi al vetriolo nei confronti di tal regista e di tal film, ovviamente a ragion veduta. Eccetera, eccetera. Ad appoggiare con un'ottima argomentazione il buon Mereghetti, c'è il (ben) più giovane critico Federico Gironi sul suo blog di Coming Soon, che conferma una tendenza alquanto bonaria della critica italiana contemporanea rispetto ad un determinato cinema (ma vi invito a leggere entrambi gli articoli per maggiore chiarezza personale, non vorrei non render merito alle loro riflessioni). 

Ed eccomi qui, oggi, a pormi un paio di domande, tentare di dare una qualche risposta e solleticare un po' il mio cervello in merito a questa questione. Che, vuoi anche un po' per coincidenza astrale, altro non è che un prolungamento della mia riflessione lasciata in sospeso ieri sera, dopo aver visto Hunger di Steve McQueen (Hunger, non Hunger Games...). Un film, come immagino saprete, che è arrivato in Italia con circa quattro anni di ritardo. Un po' troppi, aggiungo. Anni di riflessione? All'epoca Michael Fassbender non era un cazzo di nessuno (botteghinamente parlando) e, per quanto fosse già allora un gran bel pezzo di manzo (scusate la bassezza degli argomenti, ma so che mi perdonerete...è per una giusta causa!), non esistevano motivi per cui spingere questa pellicola? Chi diavolo è 'sto Steve McQueen, non era mica morto (cit.)? Ironia a parte, c'è grossa crisi (culturale). Indubbiamente Hunger è un film difficile e molto poco "pop" (aggiungo, critic mood on nella seconda parte di una bellezza indescrivibile, a partire dalla lunga sequenza con protagonisti Fassbender e Cunningham *foto, con una metafora Christi tutt'altro che scontata critic mood off), ma c'è anche da dire che con 'sta scusa del C'è crisi, vogliamo svagarci! e del C'è crisi, vogliamo un film che non ci faccia pensare ai nostri problemi lo spettatore si è creato un discreto alibi e ha proprio spento il cervello. 


Però, però, però.
Perchè c'è sempre un però, a mio avviso.


Se è vero che il pubblico, oramai, ce lo siamo giocato e buona parte dei critici è diventata troppo un volemose bene, c'è anche da dire che sono proprio gli stessi critici - quelli che si autodefiniscono un po' troppo snob -  che dovrebbero passarsi una manina sulla coscienza e fare un paio di conti col passato. Se il ruolo del critico è quello di vivisezionare un film, offrirne un'analisi e dargli/togliergli spessore culturale, bisogna capire come tutto questo è stato fatto fino ad ora e come ci si è rapportati con l'utente finale, ossia il pubblico. Perchè se il pubblico è diventato pecora e preferisce un film di Moccia ad uno di Bergman (giusto per citarne uno), un motivo ci sarà. E' facile prendersela con gli spettatori o i critici di bocca buona, scusate. E' un po' come accadeva a scuola, pensateci: quando ero un'adolescente brufolosa, le mie materie preferite erano letteratura italiana, greca e latina. Per quale motivo? Perchè avevo degli insegnanti che sono riusciti a trasmettermi il loro amore, il loro entusiasmo, mi hanno offerto gli strumenti per capire e decodificare quello che mi stavano insegnando. E invece detestavo matematica e filosofia per il motivo opposto. Chissà!


Per la proprietà transitiva, pensate a quante generazioni di critici (in questo caso, dei veri e propri insegnanti) si sono beati (e si beano tutt'ora) delle loro infinite conoscenze, utilizzando quasi un codice segreto, come una casta fastidiosa e inutile, detenendo buona parte del loro sapere in modo egoistico perchè...beh, il pubblico comune non capirebbe. Davvero? Vi faccio un altro esempio, e scusate se utilizzo sempre la mia esperienza personale...ma tant'è. Non posso classificarmi un critico di alto rango, certamente, ma nel mio piccolo posso considerarmi una buona conoscitrice di cinema, anche da un punto di vista accademico/culturale. Spesso, chiacchierando con persone meno esperte in materia (prendiamo una mia cara zia sulla sessantina o mia sorella), nel momento in cui inizi ad offrire un parere critico, ma al tempo stesso intellegibile (il che non vuol dire "banalizzare" o usare un basso registro), ti ritrovi un interlocutore incuriosito, che poi magari ti dice pure: "Ma sai che l'avevo snobbato perchè pensavo fosse solo un film pesante e basta? Lo guardo e poi ne parliamo...". 

E sicuramente io non ho l'esperienza e la conoscenza di Mereghetti&Co.

Se il problema fosse, dunque, una difficoltà di comunicazione tra le parti? Incazziamoci con i registi, incazziamoci con gli sceneggiatori, incazziamoci con gli attori. Ok, mi va bene. Ma motiviamo il tutto al pubblico, facciamo capire loro quale sia il problema, offriamo gli strumenti per valutare se una pellicola sia interessante o meno. 

INCURIOSIAMO, AFFAMIAMO.

E' a quel punto che il ruolo socio-culturale del critico avrebbe un senso.
Dico bene?





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